domenica 2 marzo 2008

Le Radici Cristiane dell'Europa
in "Un Uomo. Una Storia"
Il plauso di Ciccio Galloro

L’opera di Marcella Mellea e Michele Petullà per la scorrevolezza del linguaggio e per la drammaticità degli avvenimenti narrati, attanaglia il lettore e lo trascina in un mondo nel quale ogni cosa, ogni uomo ha il volto della guerra.
Gli autori hanno inserito sapientemente nella cornice della Grande Storia (di particolare pregio appaiono le annotazioni storiche ed i relativi riferimenti bibliografici), la piccola, ma umanamente grande storia di Cicciarello, ragazzo del profondo Sud, strappato dalle sue radici, una ridente collina che si affaccia sul mare Jonio e spedito in Russia a combattere.
Nasce, muove i primi passi e cresce a Floridace, fondo agricolo affidato dai proprietari ai suoi genitori che col lavoro duro della terra si procacciano da vivere.
Floridace, che nel cuore di Marcella ha il valore di sentimento familiare piuttosto che di bene materiale, è descritto come un balcone sullo Jonio, un luogo idilliaco nel quale convivono mirabilmente i profumi delle piante, i versi degli animali il colore del mare, la rigogliosa vegetazione della collina.
Tutti elementi che fanno da sfondo alla vita del nostro Cicciarello, la cui ansia era quella di continuare gli studi superiori, traguardo non facile a raggiungersi in un’epoca in cui lo studio era un privilegio di classe.
La gente della mia generazione che ha ancora vivo il ricordo dei piccoli eroi deamicisiani, è colta da sincera commozione dalla figura di Cicciarello che cammina a piedi nudi mentre fa ritorno dalla scuola e quando divide con saggezza il tempo tra il doveroso aiuto ai genitori e lo studio.
La guerra intanto non risparmiava nessuno neppure Floridace, microcosmo bucolico sul mare di Calabria e lontana dai grandi scacchieri strategici; il ragazzo abbandona studio e lavoroe indossa la divisa dell' alpino.
Inizia così l’odissea di Cicciarello il quale sul fronte russo ha imparato a convivere con il ghiaccio permanente e con la morte sempre in agguato.
La copertina del libro, nella quale campeggia la fotografia del giovane in divisa di alpino, suscita nel lettore che ancora non conosce la storia, grande tenerezza, tanto è l’abisso che separa quel viso angelico dagli orrori della guerra.
Man mano che procede nella lettura il lettore è colto da un sentimento di umana pietà per le sofferenze fisiche e morali del ragazzo ed in generale per quelle dei nostri soldati che, sconfitti dal gelo prima ancora che dal nemico, battevano in ritirata lungo la sponda del fiume Don.
Vengono alla mente narrazioni – peraltro confermate dal libro qui in commento - di alcuni reduci miracolosamente scampati, secondo le quali durante la ritirata la tormenta di neve era di tale violenza che i soldati che cadevano per terra perché privi di forze, venivano seppelliti dalla neve così rapidamente da rendere vano ogni tentativo di soccorso. Quell’inferno che fu la ritirata del Don appartiene ormai alla Storia, tanti sono gli storici che sin dalla fine degli anni ’60 si sono occupati dell’argomento.
Tuttavia la narrazione di Cicciarello offre spunti di riflessione sull’uomo che con i suoi sentimenti, passioni, ansie, paure, è posto dinanzi ad eventi che non ha determinato né contribuito a determinare e che per la loro ineluttabilità non potevano che ingenerare sentimenti di disperazione.. Cicciarello si è misurato con questi eventi con la forza della fede, invocando l’intervento di Dio, il solo che poteva arginare tanta follia umana.
Pagine di intensa forza narrativa sono quelle dedicate al “miracolo” di S, Francesco.
Quella sera nell’inferno del Don, nel cielo illuminato dal bagliore delle bombe, quando ogni avvenimento non lasciava presagire nulla se non la morte, egli ha visto con gli occhi della fede il Santo di Paola che gli portava un messaggio di speranza.
Il miracolo si è avverato quando Cicciarello in circostanze che avrebbero dell’incredibile se non ricondotte a S.Francesco, – si pensi al posto su un vagone ferroviario conquistato in extremis - fu trasportato dal Santo dal buio dell’inferno a rivedere le stelle di Floridace.
Una riflessione che tocca il nostro cuore oltre che la nostra ragione è quella sulla solidarietà dei Contadini russi che, vittime anch’essi della guerra e del gelo, accoglievano nelle isbe i “nemici” italiani condividendo con essi gli scarsi viveri a disposizione. Alle ragioni della guerra i contadini contrapponevano l’insegnamento evangelico che nel prossimo sofferente si cela il volto di Cristo. Tali fatti pongono interrogativi inquietanti sui grandi temi della pace e della guerra e precisamente se la dichiarazione di guerra che è sempre opera dei governanti, trova una qualche giustificazione nel diffuso sentimento popolare, sì da essere accreditata come “guerra giusta”.
Cicciarello, per bocca della cara Marcella, ha già risposto eloquentemente che la guerra è sempre ingiusta anche quando, per effetto di una perversa manipolazione delle coscienze, ha largo consenso popolare e ancor più ingiusta è quella che lo ha portato sul fiume Don. Egli non avrebbe mai mosso guerra alla gente delle isbe, né questa avrebbe scatenato un conflitto per conquistare Floridace, tanto lontana è la cultura militare dalla civiltà contadina, fondata sul principio che non bisogna conquistare col sangue ciò che si può conquistare col sudore. Questo senso cristiano della vita che affratella il contadino di Floridace alla grande famiglia russa la dice lunga sulle profonde radici cristiane dell’Europa. E’ bene a tale proposito rammentare – mi sia consentita una breve digressione - che Stalin nell’ ora dell’aggressione nazista chiamò a raccolta la Santa Madre Russia facendo leva sui sentimenti autentici del popolo che al di là dei regimi contingenti e transeunti (compreso quello da lui instaurato) reca in sé un connotato identitario di marca profondamente cristiana.
Nel chiudere queste brevi note desidero esprimere agli autori il mio vivo apprezzamento per l’ottimo esordio nell’universo letterario ed il mio plauso va particolarmente a Marcella perché Michele non è nuovo a queste esperienze, in quanto impegnato da tempo come valido redattore in vari quotidiani.
I temi accennati nel libro sono stimolanti e possono essere oggetto di nuove esperienze letterarie per gli autori. Si pensi agli ebrei che tendevano le mani verso Cicciarello che, ignaro della sorte loro decretata e mosso a compassione, non ha potuto porgere un pezzo di pane, e ancora, a Stalingrado (la battaglia fu combattuta, come a Maratona, corpo a corpo per le strade e nei caseggiati) di cui la ritirata del Don costituisce una anticipazione.
Vorrei saperne di più!
Francesco Galloro

Nessun commento: