venerdì 4 aprile 2008

Ansia di emancipazione femminile
nelle donne furiose de 'I seni di Sant'Agata'
di Carla Gigliotti

I seni di Sant’Agata” è un romanzo allo stato fluido. Lo si legge d’un fiato e poi non scivola via, ma ti rimane dentro come una cosa viva, proprio come la Santa nominata nel titolo, che ha vissuto il dramma di un amore non desiderato e che è ricordata come esempio di fierezza femminile oltre che come martire di Cristo.
La protagonista del libro, l’Agata del XX secolo, ha una storia trascinante perché si trova a fare i conti venti secoli dopo con l’atavico dilemma, per nulla sopito, della condizione della donna, della sua libertà come diritto individuale, della sua emancipazione.
Fa da sfondo il profondo Sud d’Italia e quindi una realtà diversa da quella esistente agli albori del cristianesimo, e tuttavia non tanto diversa da far ritenere abrogate all’inizio del XX secolo quelle regole non scritte che imprigionavano la donna, ora come allora, in un ruolo subalterno.
Dette regole, nel periodo preso in considerazione, avevano ancora quella forza imperativa e cogente che solo una società contadina e rurale poteva imporre in forma dogmatica.
Agata, naviga controcorrente in questo mondo, sfidando eroicamente i dogmi millenari che la obbligano, in quanto primogenita, a prendere marito prima delle due sorelle più giovani, pena il coinvolgimento dell’intera famiglia in un triste destino: non verificandosi quella condizione preliminare, alle nubende più giovani era inibita ogni aspirazione matrimoniale.
Agata rompe questi schemi e disubbidendo alla madre, rigida custode di quelle regole arcaiche oltre che attenta custode delle ansie matrimoniali delle altre figlie, accetta la clausura monacale piuttosto che un matrimonio non voluto.
Si tratta di una libertà dimezzata, dal momento che essa ha conquistato la libertà del pensiero e del cuore e sarebbe rimasta soggiogata alla costrizione fisica della clausura se altre circostanze non fossero intervenute ad affrancarla da tale triste prospettiva.
Tuttavia non viene meno l’ammirazione per la nostra eroina per la conquistata libertà dello spirito che è la forma più alta e più sublime di libertà. La memoria va a Seneca, il quale faceva dire allo schiavo: Tu, (rivolto al padrone) hai il potere assoluto sul mio corpo, ma non potrai avere alcun potere sul mio spirito”. Non desti meraviglia la citazione ed in particolare il suo riflesso spirituale perché in tutta l’opera dello stoico si avvertono i primi fermenti anticipatori della dottrina cristiana.
Se poi si vuole andare più in là nel tempo, Agata presenta taluni tratti che furono già di Antigone, eroina sofoclea che ha osato sfidare senza possibilità di successo perché vi si opponeva il Fato, le leggi divine per far trionfare quelle umane ed in particolare quella che consentiva la pietosa sepoltura di Creonte.
Le figure femminili del libro, non sottomesse ma fiere ed autorevoli, sono per un verso le messaggere dell’autrice in questa ansia di riscatto, per altro verso sono indicative di un fenomeno collettivo diffuso, anche negli strati popolari, di un inizio di rivoluzione antropologica.
Assistiamo nel libro a quel lento processo di riscatto della condizione femminile che avrà risvolti significativi verso la metà del secolo con la Resistenza, nel corso della quale l’emancipazione femminile ha ottenuto un riconoscimento storico. Intendo sfuggire alla tentazione di fare accostamenti con l’altro evento storico del ’68, perché i suoi eccessi in tema di emancipazione femminile tradiscono l’idea romantica che sembra avere l’autrice sul tema.
Questo libro per l’intensità e l’energia dei contenuti, contiene un’idea moderna che ha trascinato la scrittrice nell’impresa di impedire una latente “restauratio” del potere sulle donne sull’onda delle degenerazioni di cui si è detto.
Quanto alla struttura del libro va sottolineato che l’autrice sapientemente innesta la trama centrale del romanzo in una realtà meridionale di fine ‘800 e inizio ‘900, della quale l’autrice stessa, pur descrivendola talvolta con sottile e compiaciuta ironia, subisce un’attrazione gattopardesca..La descrizione dei luoghi, degli ambienti, l’analisi introspettiva di quei personaggi quali il sindaco, il prete, il banditore che hanno fatto la “storia “ dei nostri paesi e che furono le nostre “istituzioni” prima ancora che la filosofia globalizzante teorizzasse i massimi sistemi trascurando i microcosmi veri, hanno sollecitato in me autentici sentimenti di appartenenza alla “gens” e spero che la vena narrativa dell’autrice possa trovare nuovo “humus”nella celebrazione di quel mondo che fu e che appartiene ormai alla cultura della nostra gente.

Francesco Galloro

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